Profilo

La mia foto
L'austerità del mio pianeta mi impone di essere severa con me stessa e con gli altri, con chi ha perduto i valori, i principi, sotterrati da una società superficiale dove, l'usa e getta, è diventata la quotidianità. Tante parole belle e giuste vengono usate, ma poi nei fatti l'onestà e il rispetto sono diventati inesistenti !!

Pagine

domenica 25 settembre 2016

La bella e la bestia: perché si sceglie la persona sbagliata.

I buoni scelgono i cattivi, le donne amano i “bastardi” e le persone generose hanno amici inaffidabili. Quando e perché alcuni rapporti sono sbilanciati e provocano sofferenza.

Alcune coppie, che siano partner o amici, sono spesso composte da persone belle e altre decisamente brutte, e non da un punto di vista puramente estetico o per la banale concezione che “alle donne piacciono gli uomini “bastardi”. In un interessante film, “Noi siamo infinito”, un adolescente chiede al suo insegnante di liceo perché ci sono “belle persone” che stanno insieme a “persone orribili”, e l'insegnante risponde: "perché noi, accettiamo l'amore che crediamo di meritare”... ma è davvero così?


«È una considerazione interessante, certo non è sempre così – spiega la dott.ssa Laura Rivolta - ma da un punto di vista psicologico sottende una verità. Dobbiamo partire dalla valutazione personologica della persona che sceglie; se presenta ferite emotive legate al passato, può non sentirsi degna di meritare un amore leale, nutriente e positivo. Significativo è il contesto familiare di origine: colui /colei che non ha ricevuto dai propri genitori un amore autentico, bensì condizionato dal proprio comportamento, da ciò che fa o che sa fare (a scuola, nello sport), sviluppa una visione di sé negativa e fatica a coltivare amore e fiducia verso se stesso. Conferendo a sé uno scarso valore, parte il convincimento più o meno inconscio, di meritarsi uno stato di infelicità su ognifronte, amicale/sentimentale /lavorativo».

Nei rapporti di amicizia capita che persone buone e generose, stringano legami con persone inaffidabili; cosa le accomuna?

«La persona “buona” presenta spesso tratti personologici complessi e mi riferisco a soggetti che preservano tali caratteristiche a prescindere dalle persone che incontrano; donne o uomini, che nonostante i soprusi o le offese subite, persistono in un atteggiamento benevolo verso l’altro, presentano una bassa autostima e tendono a prodigarsi perché sono alla ricerca di una conferma del proprio valore. Pensano che, agendo in questo modo, potranno essere amate. Di contro gli individui inaffidabili e manipolatori, hanno un fiuto incredibile nell’individuare queste tipologie di persone, prede molto appetibili, che rispondono ai loro bisogni narcisistici».

Personalità opposte possono sentirsi necessarie le une alle altre?

«È assai difficili che possano divenire complementari e sono personalità, necessarie le une alle altre, rispetto a dei bisogni “patologici”. Questi rapporti possono solo rinforzare i propri tratti disfunzionali, in un escalation distruttiva, che si amplifica nel tempo».

Questo tipo di relazione è destinata a finire o, per la sua natura antitetica, a durare di più?

«Spesso purtroppo, è destinata a durare, soprattutto se la persona “debole/vittima” rifiuta di prendere coscienza del proprio problema e di farsi aiutare. Un percorso psicologico, anche breve ma centrato sul problema specifico, permette di capire le cause e le modalità per autoeducarsi ad accettare rapporti positivi».

giovedì 18 febbraio 2016

I NARCISITI PERVERSI E LE UNIONI IMPOSSIBILI

Chiami e non risponde. Non richiama, o richiama quando vuole. Mandi sms che sembrano perdersi nei meandri di un’imprevedibilità machiavellica poi, dopo ore o giorni, giungono repliche insipide e telegrafiche. Dimostra insensibilità, gelo e sincero disappunto alla minima richiesta di impegnarsi nel rapporto. E’ capace di “slanci” travolgenti, ma durano quella mezz’ora che “fate l’amore” o giù di lì. Poi di nuovo comunicazioni criptiche, incostanti e confusive si mescolano a silenzi sempre più aridi. E se sei così audace da andare avanti, se anziché interrompere urgentemente e definitivamente il rapporto prosegui, arriva tutto il resto: la svalutazione, l’aggressività, la costante sensazione di precarietà e di pericolo, la gelosia patologica, la disperazione dell’inseguimento e della derisione. Questi i fenomeni tipici della relazione con un narcisista perverso, un uomo che, spesso al di là della propria consapevolezza, agisce in modo distruttivo e spinge la partner nella spirale della dipendenza affettiva.




Controllo e disimpegno. Nel campo delle dipendenze relazionali il concetto di “narcisista perverso” non descrive una patologia della personalità, disturbo che è clinicamente rilevabile in pochissimi casi, ma una modalità di costruire rapporti sentimentali all’insegna del controllo del partner e del disimpegno dal rapporto. Ciò vuol dire che il narcisista perverso non può essere considerato un soggetto patologico, è semplicemente un individuo che adotta strategie congruenti col proprio obiettivo di base: alimentare la sicurezza di sé con un investimento minimo e a scapito dell’altro. Rispetto alle sue “vittime”, che ricercano una relazione amorosa intensa e durevole, il narcisista nutre indifferenza e, se sollecitato al confronto, può avere reazioni di fastidio, prevaricazione e violenza. Dal proprio punto di vista privo di empatia il narcisista perverso non può comprendere a pieno le esigenze dell’altro e vive le sue richieste come indebite e illegittime. Fare lo sforzo di capire e di ascoltare lo metterebbe nella sgradevole posizione di rinunciare al controllo, alla supremazia e alle decisionalità sulla partner. Per questo chi si ostina nella relazione con un narcisista perverso non ha alcuna speranza di riuscita e, senza accorgersene, si sta impegnando in un atto auto-lesionista e sterile. Nessuna azione, nessuna persuasione, nessun sacrificio, cambiamento o manipolazione muterà il narcisista perverso in un Principe Azzurro. Eppure l’ossessione che avviluppa le vittime e che le tiene soggiogate è l’idea di essere sostituite da donne più belle e più capaci di farsi amare; credono di essere responsabili dei comportamenti vessatori del partner e si auto-attribuiscono la sua incapacità affettiva.

Oggettivazione e intercambiabilità
. Il “gioco psicologico” del narcisista perverso si regge sul principio dell’oggettivazione o reificazione, ovvero sul trasformare le persone in “cose”. Ne considera il peso, la statura, le misure, i colori, pondera le frasi e gli atteggiamenti e manifesta rabbia ogni qualvolta le caratteristiche osservate risultino difformi dal modello ideale che funge da parametro indiscutibile. Così, per il narcisista perverso nulla basta: la forma fisica è sempre insufficiente, i vestiti son sbagliati, sbagliati il tono di voce, le amicizie, le proposte, gli orari… il presente, il passato della partner … 
All’inizio della relazione l’irrequietezza e l’intolleranza del narcisista perverso possono rimanere nascoste. Per tutelare un’immagine positiva e buona di sé tende a tacere, si limita a sparire dopo avere accusato l’altra/o di inadeguatezza. Man mano che il rapporto prosegue, il narcisista perverso conquista spazi di manovra sempre più ampi e sottopone la partner a conflitti o umiliazioni di intensità crescente, come a voler misurare il proprio potere. Le reazioni disperate della vittima lo rassicurano e lo gratificano. A tratti può commuoversi per lo stato di prostrazione in cui riduce la compagna e cercare di “rimediare” con qualche coccola e promesse di cambiamento. Queste condotte riparatorie non fanno che confondere la partner e alimentare la sua dipendenza perché fomentano l’illusione amorosa…

Il narcisista perverso non sempre ha fascino da vendere, non è necessariamente un bel tenebroso come suggeriscono gli stereotipi cinematografici. Si tratta in molti casi di un uomo mediocre e vuoto ossessionato dal bisogno di piacere agli altri e perseguitato dall’idea che qualcuno lo smascheri. Si comporta come una lavagna cancellabile: ci si può proiettare sopra qualunque contenuto ma nulla rimane davvero impresso. Oggi è un amante premuroso e galante e domani un latitante; a tratti è un poeta, a tratti un villano. Troppo impegnato in equilibrismi psicologici per tutelare se stesso da cadute vertiginose depressive o psicotiche, non si accorge sinceramente del disastro che crea, ma si compiace dell’inseguimento sentimentale che scatena.

Idealizzazione ed egocentrismo. Le donne e gli uomini coinvolti in una dipendenza affettiva con narcisisti perversi vengono inizialmente sedotti dalla sicurezza con cui il partner sembra sceglierli e, subito dopo, rimangono intrappolati nell’ambivalenza, nell’incostanza, nel turbinio di silenzi e di attacchi che caratterizza questo tipo di dipendenze amorose. L’ambiguità della comunicazione narcisistica è tale da offrire infiniti spunti perché la "vittima” (virgolette non casuali) la interpreti in modo egocentrico, secondo il proprio sistema di valori e le proprie aspettative. La sfida più complessa per chi precipita nel vortice della dipendenza affettiva da un narcisista perverso è imparare a tradurre secondo un altro sistema di riferimento, un diverso modello di realtà, messaggi che sembrerebbero incoraggiare la relazione ma perseguono il solo scopo di congelarla in un comodo e disimpegnato “equilibrio” che gratifichi l’immagine grandiosa dell’altro. In questo la vittima è colpevole. Inconsciamente, inconsapevolmente colpevole di danzare il tango tetro e disarticolato dell’accondiscendenza, della confusione e dell’illusione: pur di mantenere l’altro all’interno del propria idea d’amore la “vittima” costruisce cattedrali di sogni destinate a crollare: idealizza l’amante sino a creare il mito dell’uomo perfetto che, quindi, non merita. E si dà contro. “Sono una sfigata”, “Le altre sono migliori di me”, “Lui esita perché capisce che io non vado bene. Troverà un’altra che vale più di me e si innamorerà di lei”. Queste suggestioni negative, apparentemente “logiche” rispetto al vissuto emotivo da cui derivano, rappresentano ad una più attenta analisi un tentativo illusorio di “salvare l’altro” e ricondurre il fallimento del rapporto a propri presunti errori perché, in quanto tali, alimentano l’idea egocentrica che basterà modificare in qualche modo il proprio comportamento per conquistare l’amato.

Gli errori da evitare. Classicamente, sono almeno tre i comportamenti mantengono la dipendenza e trascinano la storia in una serie teoricamente infinita di inseguimenti e traumi: tentare di smascherare il narcisista perverso, chiedere chiarimenti e mantenere aperta la comunicazione.

La dipendenza affettiva è la conseguenza di schemi comunicativi disfunzionali che si ripetono e si rafforzano in un contesto di aspettative distorte e di convinzioni errate sulla relazione amorosa. Non si tratta dunque di un problema esclusivamente individuale collegato al passato degli individui coinvolti e in particolare alla loro infanzia ma di una patologia che si coniuga nel presente, nel “qui ed ora” del rapporto: nel presente, inconsapevolmente, i dipendenti affettivi sono prigionieri di pensieri, emozioni e comportamenti che derivano dal sistema di azioni e reazioni reciproche e non necessariamente da traumi primari legati al vissuto pregresso di un membro della coppia. Chi intraprende una psicoterapia alla ricerca delle cause remote dei circoli viziosi in cui è intrappolato rischia così di perdere di vista i problemi attuali e aggrovigliare ancor più strettamente la matassa di nodi in cui è intrappolato. La tendenza dei dipendenti affettivi è infatti quella di colpevolizzarsi di non essere amati e di andare alla costante ricerca di “qualcosa di rotto in se stessi” anziché riconoscere gli schemi dell’altro e le sue costanti mancanze nella dinamica della relazione. Quando poi l’altro si comporta come un narcisista perverso il senso di inadeguatezza della “vittima” tocca culmini altissimi perché il partner, in quanto narciso, si muove nel rapporto col solo scopo di alimentare il proprio sé grandioso e non esita a demolire l’immagine, già fragile, della controparte. Riconoscere identificare le modalità del narcisista perverso equivale a ristrutturare gradualmente la percezione idealizzata che ha insinuato nella “vittima” e a produrre in tempi brevi un cambiamento nel sistema interattivo che alimenta la dipendenza affettiva.


I tre errori che alimentano la dipendenza. Ciò che sprofonda il partner del narcisista è innanzitutto la difficoltà a individuare con chiarezza l’inutilità delle proprie azioni all’interno del rapporto e rassegnarsi all’idea che qualunque cosa farà, sarà sbagliata. Non c’è modo infatti di accendere l’amore nell’altro. Anche quando il narcisista sembra avvicinarsi, ritornare sui suoi passi, anche quando sembra amare teneramente sta manipolando. E basta. Manipola perché non tollera di perdere il controllo, di essere abbandonato e, soprattutto, di essere smascherato nella sua incapacità affettiva. Ed ecco il primo errore da evitare: tentare di smascherare il partner ponendolo davanti al suo egoismo, all’incostanza, alla ferocia dei suoi silenzi, alla violenza delle sue sparizioni. Pur di mantenere integra l’immagine positiva di sé il narcisista si difenderà persuadendo la partner di essere inadeguata e pazza e giustificando i  propri comportamenti come reazioni alla sua pochezza. Oppure si adeguerà temporaneamente alle richieste della vittima al solo scopo di dimostrarle che ha torto, per poi tornare repentinamente alle usali modalità sadiche e anaffettive. In questo quadro, ogni tentativo di smascheramento finisce per perpetrare lo schema della relazione e alimentare l’ossessione. Per uscirne davvero occorre abbandonare l’esigenza di ottenere dall’altro scuse e ammissioni e prendere la decisione di agire con autonomia. Sarà solo il primo passo, perché quando il narcisista perverso sente che la preda si allontano si attiva per ricatturarla ed è capace di ricomparire anche a distanza di mesi o di anni pur di ristabilire il suo potere. Per farlo può ricorrere alla richiesta di chiarimenti, tentare la carta dell’amicizia o riproporsi in modo seduttivo. Il secondo errore da evitare è accettare di “chiarire” la situazione faccia a faccia nella consapevolezza che si tratti di una trappola per continuare il massacro. Per la vittima è una decisione difficile perché, più o meno consciamente, subisce con stupore il fascino del riavvicinamento di qualcuno che credeva la disprezzasse e che, all’improvviso, assume un atteggiamento interlocutorio sulla relazione. La parola d’ordine è “No”. Non vedersi, non “chiarire” nulla, non avere più nulla a che fare con l’altro almeno finché il percorso di liberazione e di emancipazione dalla dipendenza affettiva non sia compiuto.

Il terzo errore da evitare è mantenere aperta la comunicazione col narcisista perverso. Niente sms, face book, nessun contatto diretto o indiretto sono le chiavi per superare l’astinenza affettiva e concludere per sempre la relazione. Infatti non si può “guarire insieme” dalla dipendenza affettiva quando è attivata dal narcisismo, non può in alcun modo essere un percorso congiunto ma il frutto di una elaborazione individuale della “vittima” che, sulla base del riconoscimento degli schemi dell’altro, conclude con determinazione e coraggio che l’unione in cui si era cimentata fosse realmente impossibile.  

Dott. Enrico Maria Secci (psicologo - psicoterapeuta) 

lunedì 15 febbraio 2016

IL MANIPOLATORE PERVERSO (detto anche NARCISISTA MALIGNO)

IL NARCISISTA MALIGNO: L’INGANNO E IL RAGGIRO SONO IL PANE QUOTIDIANO DI TUTTI COLORO CHE FANNO DELLA MANIPOLAZIONE UN’ARTE,   UNO STILE DI VITA AVENTE COME FINE  ULTIMO  ANNIENTARE  L’ALTRO.  SI TRATTA DI RAGNI CHE  TESSONO  BENE  LA  LORO  TELA, IN ATTESA  DELLA  PROSSIMA  VITTIMA.



Doctor Jekyll e mister Hyde, dolce al cospetto degli altri, ma vendicativo e subdolo alla spalle. Avete capito di chi stiamo parlando? No, nessun soggetto in particolare, ma sole persone: narcisisti maligni o manipolatori perversi. Non il narcisista in generale, ovvero colui che ha dei tratti inerenti a questo disturbo, ma il narcisista cattivo, maligno, il più patologico dei narcisisti. Sono bugiardi, ipocriti e manipolatori affettivi.Hanno un’alta considerazione di loro stessi, esagerano le proprie capacità, appaiono spesso presuntuosi, credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro bisogno e pretendono di avere diritto ad un trattamento particolare. Ma questo non basta, altrimenti avremmo a che fare con un “normale” narcisista. Il tutto risulta condito dal comportamento maligno che porta tale soggetto ad avere anche tratti borderline, antisociali e paranoici.
I manipolatori perversi hanno come obiettivo quello di agire attraverso la manipolazione e il raggiro per far compiere al proprio interlocutore delle azioni che tornano ad esclusivo vantaggio personale, si approfittano dell’amore altrui a scopo egoistico. I manipolatori non provano senso di colpa per quello che fanno poiché tutto è finalizzato a soddisfare il proprio ego. Manipolano la vittima amorosa con falsa tenerezza, e dopo averla conquistata se ne nutrono in maniera avara.

Le vittime sono minate e fiaccate nei loro punti deboli e, di conseguenza, piombano in una spirale negativa dalla quale non escono senza traumi. Ogni relazione deve soddisfare regole e richieste rigidamente imposte.
L’indizio che ci fa capire se abbiamo a che fare con un manipolatore perverso è la sensazione di soffocamento, la presenza costante di critiche, insinuazioni, sarcasmo che hanno come scopo finale quello di distruggere l’autostima dell’altro fino all’incapacità di vivere. I manipolatori godono dell’umiliazione altrui e non vorrà mai mettersi in discussione, non accettano alcuna critica. Preferiscono criticare  e accusare piuttosto che confrontarsi in modo adulto e maturo con l’altro.
I manipolatori fanno finta di amare, ma non provano alcun sentimento anzi tendono a maltrattare: l’altro è solo lo specchio in cui si riflette.
Si tratta di persone altamente danneggiate, che a loro volta hanno subito traumi, maltrattamenti, abusi comportamentali ed emotivi verificatisi in tempi molto precoci e per questo perpetuano il trauma traumatizzando a loro volta.


La manipolazione costituisce il fulcro di ogni relazione e la perseverazione nella stessa la connota di perversione, ed è l’unica modalità per entrare in contatto con l’altro Gli strumenti di manipolazione più diffusi sono:
1) il ricatto affettivo e le minacce: l’affettività diventa una merce di scambio, il ricatto è sottile a volte impercettibile, ma alla lunga si ha l’impressione di essere imprigionati in una modalità di relazione che non da libertà di scelta poiché ogni gesto viene valutato e misurato in funzione del tornaconto personale.
2) la colpevolizzazione: la causa dei propri problemi è sempre attribuita all’altro e se si trova rimedio si è sottoposti a minacce di vario tipo che confluiscono spesso nell’interruzione della relazione.
3) le bugie e le lusinghe: quando arrivano complimenti e apprezzamenti in quantità e limitati nel tempo molto probabilmente il vostro interlocutore vuole ottenere qualcosa da voi. È fondamentale ricordare la differenza tra affetto e gentilezza, il primo è un sentimento profondo la seconda invece è un comportamento che non coincide necessariamente con un sentimento genuino.
4) la denigrazione: è un processo continuo e minuzioso, mirato a denigrare il partner, a minarne l’autostima attraverso la restituzione di una immagine negativa di sé che con il tempo finirà per fare propria.
5) l’invadenza: consiste nel mettersi sempre al posto dell’altro e di intromettersi nelle sue scelte e decisioni senza prendere in considerazione il suo punto di vista.
6) le spalle al muro: è la tecnica che chiude il dialogo mettendo in evidenza le contraddizioni dei ragionamenti, manipolandoli in modo tale così da far passare l’altro come una persona incoerente e dalle idee poco chiare.
7) la dipendenza indotta: comprende sia la dipendenza affettiva che materiale, entrambe hanno come obiettivo di depotenziare e minare l’autonomia e l’indipendenza del partner mettendone in luce le debolezze e gli errori.
Insomma, se vi riconosceste in uno di questi comportamenti cominciate a pensare di avere a che fare con un manipolatore e correte subito ai ripari. Ma, chi è la vittima del manipolatore?

Beh, esistono persone che facilmente ne diventano prede. Si tratta principalmente di coloro che percepiscono le cose con occhiali diversi a seconda delle occasioni, che falsano la realtà al punto da non accorgersi che si è finiti nella tela del ragno. Stiamo parlando di dipendenza affettiva.

La dipendenza affettiva è uno stato patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria, per la propria esistenza. È la conditio sine qua non aldilà della quale non è possibile sopravvivere. Diventa la linfa vitale di cui quotidianamente nutrirsi.
Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, oggetto d’amore, una importanza tale da annullare se stessi, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità. Tutto questo per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione!
I sintomi della dipendenza affettiva sono i seguenti:
  • terrore dell’abbandono e della separazione
  • evidente mancanza di interesse per sé e per la propria vita
  • paura di perdere la persona amata
  • devozione estrema
  • gelosia morbosa
  • isolamento
  • incapacità di tollerare la solitudine
  • stato di allarme e di panico davanti alla minima contrarietà
  • assenza totale di confini con il partner: la relazione è simbiosi e fusione
  • paura di essere se stessi
  • senso di colpa e rabbia
Le relazioni che instaurano queste persone non sono casuali, ma soddisfano il bisogno di avere a tutti i costi una relazione, quindi il luccicore delle false lusinghe mosse dall’altro funge da trappola che li induce ad intraprendere una nuova relazione. L’altro, persona forte e sicura di sé, tronfio del suo enorme ego, funziona da specchietto per le allodole.
La dipendente affettiva pensa al brillante futuro di protezione che potrebbe avere con questa persona, che a sua volta si ingaggia in una relazione affettiva con questa tipologia di soggetto solo perché ha bisogno di sottomettere qualcuno su cui esercitare la propria superiorità.
Sono dunque atteggiamenti e comportamenti che si incastrano perfettamente come la chiave alla serratura: ogni vittima esiste perchè esiste un carnefice e viceversa. Quindi, il manipolatore sceglierà una compagna sottomessa e insicura nella quale saprà trovare a poco a poco la zona vulnerabile che consentirà l’instaurarsi di un rapporto di dipendenza. L’area di vulnerabilità funge da gancio di traino, più lo aggancio bene più sottometto l’altro, che a sua volta soffre e per paura di sganciarsi si lascia tirare sempre di più, spesse volte fino al punto di ricevere danni fisici.
Il partner del dipendente avvilisce le debolezze di questa persona, sul piano del fisico, del carattere, della bellezza, dell’intelligenza, operando un costante confronto con un ipotetico altro sempre migliore. Alla lunga questo atteggiamento determina nel dipendente una maggiore insicurezza che porterà a reazioni di gelosia, di paura, “sicuramente sceglierà chi è meglio di me”.
Tutto questo porta nel dipendente alla formazione di un circolo vizioso che si autoalimenta, ovvero totale perdita di autostima e di autoefficacia, allerta continua, terrore della perdita, che si manifesta con un senso di ansia costante e un aumento nel controllo nella relazione. Le radici di questo disturbo sono ataviche e infantili ferite mai guarite, basate sull'apprendimento di un rifiuto precoce legato alla propria inadeguatezza, per questo si perpetuano nelle relazioni di coppia. Il dipendente ama l'altro idealizzato, lo stesso amore che ha provato nella propria infanzia per un genitore irragiungibile, che lo ha abbandonato, dal quale si è sentito tradito.

Per questo, la dipendenza si alimenta e si nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, del dolore: non si tratta di provare piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, di salvarlo, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso. Amare un partner realmente affettuoso e gentile porta ad annoiarsi, invece lo stare sulla corda, il rifiuto, la mancanza di certezza muove il desiderio. Naturalmente, si tratta di valutazioni errate che alimentano e mantengono il disturbo.
Questo comportamento è ulteriormente aggravato da una attribuzione di colpe che non si hanno: “io sbaglio e per questo lui si comporta in questo modo”, “se solo fossi meno gelosa tutto questo non succederebbe”, “se ha urlato e mi ha offeso così è perchè io l’ho fatto innervosire, ho tirato la corda”.
La soluzione? Difficile è il percorso e molto tortuoso, ma consiste nel vedere l’altro per quello che è, ovvero un manipolatore affettivo. Solo così è possibile uscire dalla trappola e liberarsi della dipendenza costruendo relazioni più sane.
Amare se stessi e a mettersi al centro della propria vita è la strada da intraprendere per passare dalla dipendenza all’indipendenza, ovvero concedersi la possibilità di farsi amare in modo sano e diventare sereni.
BIBLIOGRAFIA:

giovedì 17 luglio 2014

I SERIAL KILLER DELL'ANIMA

Un altro articolo che riguarda la manipolazione psicologica! Mi rinnovo con questo argomento perché secondo me è "tragicamente" attuale, partorito purtroppo, dalla nostra moderna società malata. Ne stiamo vedendo i risultati con i terribili fatti di cronaca nera di questi ultimi anni ............
La manipolazione relazionale alla base della violenza psicologica si parlerà di omicidi non fisici ma dell’anima.

Nel saggio “Il Serial Killer dell’Anima” si è cercato di tracciare un identikit di quello che è l’abusante che noi ci troviamo quotidianamente nelle case e che non presenta delle caratteristiche peculiari, non ha dei tratti “folli”, nemmeno diagnosi psichiatriche dietro, ma è una persona normalissima che sta con noi, che ci vive accanto, che ci dorme vicino ed è importante identificarlo perché quando noi parliamo di violenza psicologica stiamo parlando di un fenomeno che è ancora più diffuso di quella fisica. Non tutti gli abusi psicologici degenerano in violenza fisica ma sicuramente laddove c’è violenza fisica a monte c’è stata quella psicologica. Vediamo in cosa consiste. Noi parliamo di violenza psicologica quando viene, per quanto riguarda la donna, fondamentalmente attaccato il sistema identitario, quindi: abusi, ingiurie, menzogne, svilimenti, umiliazioni, sono tutti atti silenti, poco concreti, che non lasciano un segno materiale ma sicuramente ne lasciano uno molto profondo sotto il profilo psicologico e sono segni spesso con delle conseguenze irreversibili: danni alla psiche, esaurimenti nervosi, depressioni. Tutto frutto di un qualcosa che viene estrinsecato nel tempo, nell’arco di relazioni lunghe, lunghissime anche di decenni e che però spesso purtroppo non vengono riconosciute perché diventa difficilissimo per la donna capire e accettare il concetto di essere massacrata psicologicamente dalla persona che ama, è un concetto che non riesce ad accettare. Il mio libro vorrebbe dare una risposta a tutte quelle donne che si ritengono delle cretine a rimanere in quel contesto violento, ad essere delle vittime. Le vittime di violenza domestica devono purtroppo fare i conti con un senso di colpa che le porta a rimanere intrappolate in quella situazione. Attenzione, quando parlo di vittima non mi riferisco ad uno stereotipo: donna fragile, debole, senza strumenti, povera (ci sono anche quelle ovviamente); la vittima è la donna normale, come l’abusante é l’uomo normale e sempre più spesso anche lei occupa posizioni elevate avendo raggiunto traguardi che fino a pochi anni fa sembravano irraggiungibili. Forse questo bisogno di violenza deriva dal fatto di sentirsi inadeguati: violenza e debolezza. La debolezza psicologica dell’uomo porta al desiderio di controllo e annientamento. Ma come si realizza un annientamento di questo tipo? Non c’è donna al mondo; tranne casi di grande masochismo quindi casi patologici, che si diverta a stare lì a prenderle né fisicamente né psicologicamente. All’interno della relazione il più delle volte avviene quella che si chiama ‘manipolazione relazionale’ cioè una sorta di lavaggio del cervello che determina l’acquiescenza della vittima. La donna resta lì a “prenderle” e non si ribella perché la violenza è caratterizzata da un ciclo tipico che è quello del momento aggressivo, seguito poi dalla pace, seguito poi dalla riappacificazione tecnicamente nota come luna di miele (ed è quello il momento più pericoloso) in cui l’uomo promette di cambiare, di non reiterare più quello che ha fatto. Sono i momenti in cui lui manifesta anche una volontà di cambiamento che spesso dura il tempo che dura per poi ritornare alla violenza. Ci sono film come “A letto col nemico” o “Gaslight”, un film degli anni ‘40, che descrivono molto bene il lavaggio del cervello fatto sulla donna. Dal film “Gaslight” è stato tratto il termine gaslighting per indicare il fenomeno attraverso il quale una persona tenta di fare impazzire l’altra (nel film il marito accendeva e spegneva le luci di una camera cercando di giocare sul sistema percettivo della vittima portandola a dubitare che le luci potessero essersi accese da sole) ed è questa la manipolazione relazionale, quel fenomeno che poco alla volta conduce la donna se non proprio alla follia a gravi compromissione del sistema cognitivo, intellettivo ed emozionale con gravissimi danni alla sfera emotiva e a tutto quello che la concerne. Non parliamo poi delle conseguenze derivanti dalla violenza assistita, quella a cui assistono i figli nel momento in cui la madre viene abusata. Il bambino assiste oltre che alla violenza fisica soprattutto a queste dinamiche relazionali perverse. Queste dinamiche relazionali sono perverse perché vogliono e richiedono una dipendenza della vittima dal carnefice. Questi uomini creano dipendenza e le vittime fanno molta fatica a venirne via, non riconoscono il fenomeno, non riconoscono addirittura che è un abuso. Prima parlavamo di cifre oscure. La cifra oscura in criminologia è quella cifra che non è pervenuta in quanto il reato non è stato denunciato, ma nel nostro caso il reato addirittura non viene identificato perché la vittima non lo riconosce come tale. Durante un mio seminario una signora di circa 70 anni ha osservato che stavo descrivendo un fenomeno che tutte le donne quo- tidianamente vivono. Quindi per questa signora era la norma. In molte culture compresa la nostra, quella più meridionale, il padre padrone non è altro che il soggetto che sto descrivendo (che però ho cercato di stigmatizzare un po’, giusto per renderlo più riconoscibile). Il padre padrone, in un nuovo modello e in una nuova forma, è il libero professionista, è il politico, è il primario, è il medico, è l’avvocato, è il comandante di polizia; tutti soggetti di difficile riconoscimento e individuazione in quanto si caratterizzano per il mascheramento che attuano per catturare una preda. Essi non fanno subito vedere la loro faccia, il loro aspetto, bensì indossano delle maschere (io parlo di “camaleontismo del manipolatore”). Sono di difficile individuazione perché nel momento in cui si avvicinano usano dei sistemi e degli strumenti finalizzai esclusivamente ad accalappiare chi c’è dall’altra parte. Si presentano come principi azzurri per poi rivelarsi dei rospi con un processo contrario rispetto a quello delle fiabe. E la vittima cade inesorabilmente nella trappola dell’inganno. La menzogna e l’omissione sono gli strumenti principali che utilizzano per accalappiare la vittima. Inoltre questi soggetti sono fedigrafi per antonomasia. Si attaccano a più persone per coltivare prede diverse con sempre una, quella privilegiata, in prima linea e attingono alle loro energie, come dei vampiri. Parlo di “vampirismo energetico” (riferito esplicitamente al bellissimo libro “Vampiri energetici” di Mario Corte) perché sono persone che attingono, vanno a prendere le energie. E questa forma di sottrazione energetica è la prima forma di violenza psicologica perché sono uomini che assorbono, stancano, sfiniscono, sono spesso dipendenti, emotivamente immaturi. Vanno a giocare su leve emozionali molto presenti in tutti noi, ma nella donna in particolare, quali il senso di colpa e la paura e giocano puntando su questi due elementi. Attraverso le leve emozionali del senso di colpa e della paura determinano l’acquiescenza e la sottomissione. Il fenomeno interessante è che riescono a fare sentire sempre inadeguata la vittima che non si chiede che cosa sta succedendo ma si mette sempre dalla parte della colpevole. Come le vittime di stupro devono fare una elaborazione lunghissima sul senso di colpa che accompagna il delitto di stupro, così le vittime di violenza domestica devono fare i conti con questo senso di colpa che le porta a rimanere intrappolate in quella situazione. Il non venir via è dovuto al fatto che la donna pensa che in qualche modo avrebbe dovuto fare meglio, che avrebbe potuto cambiare la situazione e determinare altre conseguenze. E così si fa fregare restando a volte anche tutta la vita accanto a queste persone che non fanno altro che sottrarre energie, causare dolore e disagi. Probabilmente questi dati ci sono sempre stati. Adesso se ne parla di più, si dà più rilevo ma si continua a tacere. Si fa molta fatica a tirare fuori il problema della violenza domestica intesa anche come micro abusi, micro ferite quotidiane. Tutto quello che è mancanza di rispetto è da considerarsi violenza quindi iniziamo ad entrare in un’accezione del termine molto più vasta di quello che si fa normalmente. Siccome siamo nella cultura del non rispetto (i media insegnano) in cui tutto è basato sulla aggressività allora l’operazione delicata da fare, legata anche al concetto di violenza assistita, è sicuramente quella della prevenzione sui figli. Prima dicevo che la violenza assistita è da considerarsi pericolosa anche se si tratta di violenza “solo” psicologica che non lascia segni visibili perché il bambino impara quegli schemi comportamentali. E quelle modalità relazionali pseudo affettive disturbate e perverse sono poi interiorizzate dal bambino che guarda caso l’andrà a replicare: quasi tutti i manipolatori relazionali sono stati a loro volta vittime di violenza. Se è difficile avere dati sui reati di violenza è ancora più difficile averli sui casi di manipolazione che sono molti più di quanto si possa pensare I “vampiri energetici” oggi sono miliardi e sono aumentati perché si sentono più deboli. Siamo diventate troppo sicure di noi, troppo aggressive, troppo tutto, e forse lo abbiamo fatto anche un po’ troppo in fretta e non è stato minimamente metabolizzato. Quindi io credo che buona parte della violenza oggi si deve proprio al fatto che abbiamo uomini non spaventati bensì terrorizzati. Quindi una delle prime operazioni da fare per lavorare bene sotto il profilo preventivo oltre quella di fare “rete” tra noi, aiutare le vittime ognuno con la propria professione, ecc. è sicuramente quella di cercare di strutturare un sistema per fornire un aiuto anche agli abusanti. -

lunedì 10 settembre 2012

PERCHE' A VOLTE SI SCEGLIE LO STESSO TIPO DI PARTNER

Quante volte ci si è domandato perché, nonostante le delusioni e le scottature ricevute nelle relazioni di coppia passate, col trascorrere del tempo si tende spesso a compiere i medesimi passi, quasi a ripercorrere un copione consolidatosi nel tempo, scegliendo spesso la stessa tipologia di partner? Anche quando si pensa che proprio quel tipo di uomo o di donna, con quelle particolari caratteristiche, rappresenti la causa principale delle proprie sofferenze in amore, e si è decisi a non ripetere più lo stesso tipo di scelte, ecco che invece ci si innamora di nuovo dello stesso tipo di partner, che tende a rivelarsi spesso troppo assente, oppure troppo invadente, e così via, a seconda dei casi. Comunque sia ci si legherà facilmente con qualcuno che mostrerà peculiarità analoghe a quelle del compagno/a precedente e che ci si era ripromessi di evitare.
Stessi attori e stesse attrici, stessi ruoli interpretati dai partner, dunque, nello scegliersi a vicenda. Innamorandosi e scegliendo la stessa tipologia di persona si continua a soffrire, spesso, per gli stessi motivi collegati a comportamenti che si ripetono immodificati nel corso del tempo.
Ma perché tutto ciò avverrebbe?

Proviamo a rispondere. Innanzitutto va detto che ben tre quarti delle persone, secondo quanto scrive Grazia Attili, autrice del libro “Attaccamento e amore”, tenderebbe a ricreare legami e a costruire relazioni di coppia con caratteristiche simili alle caratteristiche delle relazioni instaurate da bambini con la propria madre. Sulla scelta del partner inciderebbe quindi, secondo l’autrice, il tipo di attaccamento sviluppato con la madre stessa. In tal senso, la conoscenza dei motivi più nascosti che possono influire nella scelta del partner, potrebbero essere di aiuto nel ritrovare un modo di amare e di essere amati che sia meno doloroso e distruttivo.

In particolare, esisterebbero tre specifiche modalità di attaccamento che inciderebbero sulla futura relazione con il partner. Vediamole una per una a partire dallo svilupparsi della relazione del bambino con la mamma nei primi anni di vita. Consideriamole poi nel loro ripercuotesi all’interno delle relazioni mature dell’età adulta:
-Nel caso dell’attaccamento che viene definito “sicuro”, quando il bambino piange e chiede aiuto, la madre riconosce prontamente i suoi segnali ed immediatamente accorre. La madre è presente quindi nel momento del bisogno ma, allo stesso tempo, non impedisce al figlio di muoversi con una certa libertà che gli permetta di poter esplorare l’ambiente circostante. Questo bambino svilupperà una rappresentazione mentale della madre come qualcuno di cui fidarsi, e un modello mentale di sé come persona degna di essere amata e confortata. Da grande, quando starà male, sarà in grado di esprimere quello che prova, e tenderà a sceglier partner che hanno avuto un percorso affettivo simile al suo, cioè persone sicure, in grado di confortarlo e di condividere con lui benessere e felicità. Eviterà invece persone che possano farlo sentire frustrato nel suo bisogno di essere amato.

-Un altro tipo di attaccamento che può svilupparsi a partire dalla relazione tra il bambino e la madre, viene definito attaccamento “insicuro-ambivalente”. In questi casi, quando il bambino da piccolo piange, la madre a volte accorre, altre no. Mentre in altre occasioni, quando ad esempio il bambino se ne sta tranquillo a giocare, può accadere che la madre improvvisamente intervenga a coccolarlo, interrompendo così le sue attività. In questo contesto, il bambino fatica a collegare in maniera chiara i suoi segnali alle risposte della madre, così il suo sistema di attaccamento tenderà a segnalare continuamente una situazione di rischio. Il bambino sarà allora spesso capriccioso, si mostrerà sovente triste e difficilmente consolabile quando starà male, esagerando continuamente le proprie emozioni negative. La madre d’altro canto diventerà sempre più intrusiva verso di lui, aspettandosi anche che questi presti attenzione ai suoi bisogni affettivi. A partire da una situazione del genere il bambino, crescendo, svilupperà un modello di sé quale persona vulnerabile, e di persona amabile a volte sì e a volte no. Considererà la figura di attaccamento in termini di persona inaffidabile e concepirà la realtà esterna come pericolosa.

Da grande, pur instaurando relazioni di coppia, tenderà a mantenere un rapporto invischiato e conflittuale con la sua famiglia d’origine, basato sulla possibilità di liberarsi da quei legami familiari che a suo avviso gli impedirebbero di diventare una persona più autonoma.

Nella scelta del partner avrà un forte bisogno di unione, accompagnato da forte tendenza ad idealizzare l’altro. Tenderà a scegliere partner che lo tengono a distanza, e si focalizzerà su ogni minimo segnale di disinteresse del partner, disinteresse che farà scoppiare la sua gelosia spesso ossessiva. Anche quando sceglierà partner fedeli potrà capitare che questi ultimi divengano inaffidabili, una volta resisi conto che le varie scenate di gelosia non dipendono effettivamente dalla loro oggettiva fedeltà o trascuratezza, ma dalle modalità proprie e abituali del loro compagno/a. Alla fine, però potrà anche capitare che scelga un partner fedele, con attaccamento sicuro, nonostante il soggetto con attaccamento insicuro ambivalente continuerà a non fidarsi mai completamente dell’altro, e conserverà parte della sua rabbia verso le figure che più ama.

-Infine vi è il caso dell’attaccamento “evitante”. Chi lo sviluppa da bambino, quando aveva bisogno della mamma, veniva spesso rifiutato e non confortato. I bambini con attaccamento evitante sviluppano sovente comportamenti di falsa autonomia, evitando di cercare la madre, soprattutto quando sono in difficoltà, poiché non possono permettersi di subire un rifiuto, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità. In questo modo, il tipo di attaccamento che svilupperà tale bambino, detto insicuro-ansioso di tipo evitante, lo porterà a sviluppare un modello di sé come persona non meritevole di amore, un modello mentale della propria madre come persona malvagia, e un modello mentale della realtà esterna come ostile, dove le cose si possono ottenere solo con l’aggressività, altrimenti tanto vale rinunciare.

Crescendo tenderà a legarsi a partner con modelli di attaccamento analoghi ai suoi, basati cioè sull’evitamento, che non richiedano quindi intimità profonda o lo sviluppo di un’affettività intensa. Altre volte, invece, capiterà che si leghi a partner che hanno sviluppato un modello di attaccamento insicuro – ambivalente di tipo invischiante, che tenderanno ad assumersi la responsabilità di mantenere viva la relazione di coppia, richiamando a sé il partner “evitante” qualora questi si allontani, e maltrattandolo poi al suo ritorno. In entrambi i casi, l’individuo tenderà comunque a legarsi a partner che utilizzano lo stesso modello di attaccamento usato dalla propria madre: quando si legherà a partner “evitanti”, questi ultimi mostreranno lo stesso atteggiamento freddo che aveva sua madre nei suoi confronti, quand’era bambino. Quando invece si legherà a partner “invischianti”, qualora questi ultimi mostrino atteggiamenti aggressivi basati su reazioni di rabbia per essere stati trascurati, il soggetto “evitante” si ritroverà a gestire situazioni che ricordano l’antico modello materno basato sul rifiuto.

Nella coppia le persone con stile di attaccamento “evitante” faranno una certa fatica a mettersi nei panni dell’altro e, di fronte alla sofferenza altrui, tenderanno spesso a rimanere in silenzio, ritenendo che questa sia la cosa migliore da fare per rispettare il proprio partner che, al contrario, leggerà un simile comportamento come un rifiuto.

Ora va detto che questi modelli qui brevemente descritti sono una bussola per orientarsi nel campo della scelta delle relazioni sentimentali, ma non devono essere interpretati in maniera rigida, inflessibile o fatalistica.
Divenire però consapevoli di come essi influiscano nella scelta del partner, può rivelarsi utile per rifondare un rapporto di coppia basato su una maggiore comprensione e conoscenza di sé e dell’altro, che permetta una migliore gestione delle proprie reazioni e dei propri comportamenti all’interno della relazione di coppia.