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L'austerità del mio pianeta mi impone di essere severa con me stessa e con gli altri, con chi ha perduto i valori, i principi, sotterrati da una società superficiale dove, l'usa e getta, è diventata la quotidianità. Tante parole belle e giuste vengono usate, ma poi nei fatti l'onestà e il rispetto sono diventati inesistenti !!

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giovedì 18 febbraio 2016

I NARCISITI PERVERSI E LE UNIONI IMPOSSIBILI

Chiami e non risponde. Non richiama, o richiama quando vuole. Mandi sms che sembrano perdersi nei meandri di un’imprevedibilità machiavellica poi, dopo ore o giorni, giungono repliche insipide e telegrafiche. Dimostra insensibilità, gelo e sincero disappunto alla minima richiesta di impegnarsi nel rapporto. E’ capace di “slanci” travolgenti, ma durano quella mezz’ora che “fate l’amore” o giù di lì. Poi di nuovo comunicazioni criptiche, incostanti e confusive si mescolano a silenzi sempre più aridi. E se sei così audace da andare avanti, se anziché interrompere urgentemente e definitivamente il rapporto prosegui, arriva tutto il resto: la svalutazione, l’aggressività, la costante sensazione di precarietà e di pericolo, la gelosia patologica, la disperazione dell’inseguimento e della derisione. Questi i fenomeni tipici della relazione con un narcisista perverso, un uomo che, spesso al di là della propria consapevolezza, agisce in modo distruttivo e spinge la partner nella spirale della dipendenza affettiva.




Controllo e disimpegno. Nel campo delle dipendenze relazionali il concetto di “narcisista perverso” non descrive una patologia della personalità, disturbo che è clinicamente rilevabile in pochissimi casi, ma una modalità di costruire rapporti sentimentali all’insegna del controllo del partner e del disimpegno dal rapporto. Ciò vuol dire che il narcisista perverso non può essere considerato un soggetto patologico, è semplicemente un individuo che adotta strategie congruenti col proprio obiettivo di base: alimentare la sicurezza di sé con un investimento minimo e a scapito dell’altro. Rispetto alle sue “vittime”, che ricercano una relazione amorosa intensa e durevole, il narcisista nutre indifferenza e, se sollecitato al confronto, può avere reazioni di fastidio, prevaricazione e violenza. Dal proprio punto di vista privo di empatia il narcisista perverso non può comprendere a pieno le esigenze dell’altro e vive le sue richieste come indebite e illegittime. Fare lo sforzo di capire e di ascoltare lo metterebbe nella sgradevole posizione di rinunciare al controllo, alla supremazia e alle decisionalità sulla partner. Per questo chi si ostina nella relazione con un narcisista perverso non ha alcuna speranza di riuscita e, senza accorgersene, si sta impegnando in un atto auto-lesionista e sterile. Nessuna azione, nessuna persuasione, nessun sacrificio, cambiamento o manipolazione muterà il narcisista perverso in un Principe Azzurro. Eppure l’ossessione che avviluppa le vittime e che le tiene soggiogate è l’idea di essere sostituite da donne più belle e più capaci di farsi amare; credono di essere responsabili dei comportamenti vessatori del partner e si auto-attribuiscono la sua incapacità affettiva.

Oggettivazione e intercambiabilità
. Il “gioco psicologico” del narcisista perverso si regge sul principio dell’oggettivazione o reificazione, ovvero sul trasformare le persone in “cose”. Ne considera il peso, la statura, le misure, i colori, pondera le frasi e gli atteggiamenti e manifesta rabbia ogni qualvolta le caratteristiche osservate risultino difformi dal modello ideale che funge da parametro indiscutibile. Così, per il narcisista perverso nulla basta: la forma fisica è sempre insufficiente, i vestiti son sbagliati, sbagliati il tono di voce, le amicizie, le proposte, gli orari… il presente, il passato della partner … 
All’inizio della relazione l’irrequietezza e l’intolleranza del narcisista perverso possono rimanere nascoste. Per tutelare un’immagine positiva e buona di sé tende a tacere, si limita a sparire dopo avere accusato l’altra/o di inadeguatezza. Man mano che il rapporto prosegue, il narcisista perverso conquista spazi di manovra sempre più ampi e sottopone la partner a conflitti o umiliazioni di intensità crescente, come a voler misurare il proprio potere. Le reazioni disperate della vittima lo rassicurano e lo gratificano. A tratti può commuoversi per lo stato di prostrazione in cui riduce la compagna e cercare di “rimediare” con qualche coccola e promesse di cambiamento. Queste condotte riparatorie non fanno che confondere la partner e alimentare la sua dipendenza perché fomentano l’illusione amorosa…

Il narcisista perverso non sempre ha fascino da vendere, non è necessariamente un bel tenebroso come suggeriscono gli stereotipi cinematografici. Si tratta in molti casi di un uomo mediocre e vuoto ossessionato dal bisogno di piacere agli altri e perseguitato dall’idea che qualcuno lo smascheri. Si comporta come una lavagna cancellabile: ci si può proiettare sopra qualunque contenuto ma nulla rimane davvero impresso. Oggi è un amante premuroso e galante e domani un latitante; a tratti è un poeta, a tratti un villano. Troppo impegnato in equilibrismi psicologici per tutelare se stesso da cadute vertiginose depressive o psicotiche, non si accorge sinceramente del disastro che crea, ma si compiace dell’inseguimento sentimentale che scatena.

Idealizzazione ed egocentrismo. Le donne e gli uomini coinvolti in una dipendenza affettiva con narcisisti perversi vengono inizialmente sedotti dalla sicurezza con cui il partner sembra sceglierli e, subito dopo, rimangono intrappolati nell’ambivalenza, nell’incostanza, nel turbinio di silenzi e di attacchi che caratterizza questo tipo di dipendenze amorose. L’ambiguità della comunicazione narcisistica è tale da offrire infiniti spunti perché la "vittima” (virgolette non casuali) la interpreti in modo egocentrico, secondo il proprio sistema di valori e le proprie aspettative. La sfida più complessa per chi precipita nel vortice della dipendenza affettiva da un narcisista perverso è imparare a tradurre secondo un altro sistema di riferimento, un diverso modello di realtà, messaggi che sembrerebbero incoraggiare la relazione ma perseguono il solo scopo di congelarla in un comodo e disimpegnato “equilibrio” che gratifichi l’immagine grandiosa dell’altro. In questo la vittima è colpevole. Inconsciamente, inconsapevolmente colpevole di danzare il tango tetro e disarticolato dell’accondiscendenza, della confusione e dell’illusione: pur di mantenere l’altro all’interno del propria idea d’amore la “vittima” costruisce cattedrali di sogni destinate a crollare: idealizza l’amante sino a creare il mito dell’uomo perfetto che, quindi, non merita. E si dà contro. “Sono una sfigata”, “Le altre sono migliori di me”, “Lui esita perché capisce che io non vado bene. Troverà un’altra che vale più di me e si innamorerà di lei”. Queste suggestioni negative, apparentemente “logiche” rispetto al vissuto emotivo da cui derivano, rappresentano ad una più attenta analisi un tentativo illusorio di “salvare l’altro” e ricondurre il fallimento del rapporto a propri presunti errori perché, in quanto tali, alimentano l’idea egocentrica che basterà modificare in qualche modo il proprio comportamento per conquistare l’amato.

Gli errori da evitare. Classicamente, sono almeno tre i comportamenti mantengono la dipendenza e trascinano la storia in una serie teoricamente infinita di inseguimenti e traumi: tentare di smascherare il narcisista perverso, chiedere chiarimenti e mantenere aperta la comunicazione.

La dipendenza affettiva è la conseguenza di schemi comunicativi disfunzionali che si ripetono e si rafforzano in un contesto di aspettative distorte e di convinzioni errate sulla relazione amorosa. Non si tratta dunque di un problema esclusivamente individuale collegato al passato degli individui coinvolti e in particolare alla loro infanzia ma di una patologia che si coniuga nel presente, nel “qui ed ora” del rapporto: nel presente, inconsapevolmente, i dipendenti affettivi sono prigionieri di pensieri, emozioni e comportamenti che derivano dal sistema di azioni e reazioni reciproche e non necessariamente da traumi primari legati al vissuto pregresso di un membro della coppia. Chi intraprende una psicoterapia alla ricerca delle cause remote dei circoli viziosi in cui è intrappolato rischia così di perdere di vista i problemi attuali e aggrovigliare ancor più strettamente la matassa di nodi in cui è intrappolato. La tendenza dei dipendenti affettivi è infatti quella di colpevolizzarsi di non essere amati e di andare alla costante ricerca di “qualcosa di rotto in se stessi” anziché riconoscere gli schemi dell’altro e le sue costanti mancanze nella dinamica della relazione. Quando poi l’altro si comporta come un narcisista perverso il senso di inadeguatezza della “vittima” tocca culmini altissimi perché il partner, in quanto narciso, si muove nel rapporto col solo scopo di alimentare il proprio sé grandioso e non esita a demolire l’immagine, già fragile, della controparte. Riconoscere identificare le modalità del narcisista perverso equivale a ristrutturare gradualmente la percezione idealizzata che ha insinuato nella “vittima” e a produrre in tempi brevi un cambiamento nel sistema interattivo che alimenta la dipendenza affettiva.


I tre errori che alimentano la dipendenza. Ciò che sprofonda il partner del narcisista è innanzitutto la difficoltà a individuare con chiarezza l’inutilità delle proprie azioni all’interno del rapporto e rassegnarsi all’idea che qualunque cosa farà, sarà sbagliata. Non c’è modo infatti di accendere l’amore nell’altro. Anche quando il narcisista sembra avvicinarsi, ritornare sui suoi passi, anche quando sembra amare teneramente sta manipolando. E basta. Manipola perché non tollera di perdere il controllo, di essere abbandonato e, soprattutto, di essere smascherato nella sua incapacità affettiva. Ed ecco il primo errore da evitare: tentare di smascherare il partner ponendolo davanti al suo egoismo, all’incostanza, alla ferocia dei suoi silenzi, alla violenza delle sue sparizioni. Pur di mantenere integra l’immagine positiva di sé il narcisista si difenderà persuadendo la partner di essere inadeguata e pazza e giustificando i  propri comportamenti come reazioni alla sua pochezza. Oppure si adeguerà temporaneamente alle richieste della vittima al solo scopo di dimostrarle che ha torto, per poi tornare repentinamente alle usali modalità sadiche e anaffettive. In questo quadro, ogni tentativo di smascheramento finisce per perpetrare lo schema della relazione e alimentare l’ossessione. Per uscirne davvero occorre abbandonare l’esigenza di ottenere dall’altro scuse e ammissioni e prendere la decisione di agire con autonomia. Sarà solo il primo passo, perché quando il narcisista perverso sente che la preda si allontano si attiva per ricatturarla ed è capace di ricomparire anche a distanza di mesi o di anni pur di ristabilire il suo potere. Per farlo può ricorrere alla richiesta di chiarimenti, tentare la carta dell’amicizia o riproporsi in modo seduttivo. Il secondo errore da evitare è accettare di “chiarire” la situazione faccia a faccia nella consapevolezza che si tratti di una trappola per continuare il massacro. Per la vittima è una decisione difficile perché, più o meno consciamente, subisce con stupore il fascino del riavvicinamento di qualcuno che credeva la disprezzasse e che, all’improvviso, assume un atteggiamento interlocutorio sulla relazione. La parola d’ordine è “No”. Non vedersi, non “chiarire” nulla, non avere più nulla a che fare con l’altro almeno finché il percorso di liberazione e di emancipazione dalla dipendenza affettiva non sia compiuto.

Il terzo errore da evitare è mantenere aperta la comunicazione col narcisista perverso. Niente sms, face book, nessun contatto diretto o indiretto sono le chiavi per superare l’astinenza affettiva e concludere per sempre la relazione. Infatti non si può “guarire insieme” dalla dipendenza affettiva quando è attivata dal narcisismo, non può in alcun modo essere un percorso congiunto ma il frutto di una elaborazione individuale della “vittima” che, sulla base del riconoscimento degli schemi dell’altro, conclude con determinazione e coraggio che l’unione in cui si era cimentata fosse realmente impossibile.  

Dott. Enrico Maria Secci (psicologo - psicoterapeuta) 

lunedì 15 febbraio 2016

IL MANIPOLATORE PERVERSO (detto anche NARCISISTA MALIGNO)

IL NARCISISTA MALIGNO: L’INGANNO E IL RAGGIRO SONO IL PANE QUOTIDIANO DI TUTTI COLORO CHE FANNO DELLA MANIPOLAZIONE UN’ARTE,   UNO STILE DI VITA AVENTE COME FINE  ULTIMO  ANNIENTARE  L’ALTRO.  SI TRATTA DI RAGNI CHE  TESSONO  BENE  LA  LORO  TELA, IN ATTESA  DELLA  PROSSIMA  VITTIMA.



Doctor Jekyll e mister Hyde, dolce al cospetto degli altri, ma vendicativo e subdolo alla spalle. Avete capito di chi stiamo parlando? No, nessun soggetto in particolare, ma sole persone: narcisisti maligni o manipolatori perversi. Non il narcisista in generale, ovvero colui che ha dei tratti inerenti a questo disturbo, ma il narcisista cattivo, maligno, il più patologico dei narcisisti. Sono bugiardi, ipocriti e manipolatori affettivi.Hanno un’alta considerazione di loro stessi, esagerano le proprie capacità, appaiono spesso presuntuosi, credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro bisogno e pretendono di avere diritto ad un trattamento particolare. Ma questo non basta, altrimenti avremmo a che fare con un “normale” narcisista. Il tutto risulta condito dal comportamento maligno che porta tale soggetto ad avere anche tratti borderline, antisociali e paranoici.
I manipolatori perversi hanno come obiettivo quello di agire attraverso la manipolazione e il raggiro per far compiere al proprio interlocutore delle azioni che tornano ad esclusivo vantaggio personale, si approfittano dell’amore altrui a scopo egoistico. I manipolatori non provano senso di colpa per quello che fanno poiché tutto è finalizzato a soddisfare il proprio ego. Manipolano la vittima amorosa con falsa tenerezza, e dopo averla conquistata se ne nutrono in maniera avara.

Le vittime sono minate e fiaccate nei loro punti deboli e, di conseguenza, piombano in una spirale negativa dalla quale non escono senza traumi. Ogni relazione deve soddisfare regole e richieste rigidamente imposte.
L’indizio che ci fa capire se abbiamo a che fare con un manipolatore perverso è la sensazione di soffocamento, la presenza costante di critiche, insinuazioni, sarcasmo che hanno come scopo finale quello di distruggere l’autostima dell’altro fino all’incapacità di vivere. I manipolatori godono dell’umiliazione altrui e non vorrà mai mettersi in discussione, non accettano alcuna critica. Preferiscono criticare  e accusare piuttosto che confrontarsi in modo adulto e maturo con l’altro.
I manipolatori fanno finta di amare, ma non provano alcun sentimento anzi tendono a maltrattare: l’altro è solo lo specchio in cui si riflette.
Si tratta di persone altamente danneggiate, che a loro volta hanno subito traumi, maltrattamenti, abusi comportamentali ed emotivi verificatisi in tempi molto precoci e per questo perpetuano il trauma traumatizzando a loro volta.


La manipolazione costituisce il fulcro di ogni relazione e la perseverazione nella stessa la connota di perversione, ed è l’unica modalità per entrare in contatto con l’altro Gli strumenti di manipolazione più diffusi sono:
1) il ricatto affettivo e le minacce: l’affettività diventa una merce di scambio, il ricatto è sottile a volte impercettibile, ma alla lunga si ha l’impressione di essere imprigionati in una modalità di relazione che non da libertà di scelta poiché ogni gesto viene valutato e misurato in funzione del tornaconto personale.
2) la colpevolizzazione: la causa dei propri problemi è sempre attribuita all’altro e se si trova rimedio si è sottoposti a minacce di vario tipo che confluiscono spesso nell’interruzione della relazione.
3) le bugie e le lusinghe: quando arrivano complimenti e apprezzamenti in quantità e limitati nel tempo molto probabilmente il vostro interlocutore vuole ottenere qualcosa da voi. È fondamentale ricordare la differenza tra affetto e gentilezza, il primo è un sentimento profondo la seconda invece è un comportamento che non coincide necessariamente con un sentimento genuino.
4) la denigrazione: è un processo continuo e minuzioso, mirato a denigrare il partner, a minarne l’autostima attraverso la restituzione di una immagine negativa di sé che con il tempo finirà per fare propria.
5) l’invadenza: consiste nel mettersi sempre al posto dell’altro e di intromettersi nelle sue scelte e decisioni senza prendere in considerazione il suo punto di vista.
6) le spalle al muro: è la tecnica che chiude il dialogo mettendo in evidenza le contraddizioni dei ragionamenti, manipolandoli in modo tale così da far passare l’altro come una persona incoerente e dalle idee poco chiare.
7) la dipendenza indotta: comprende sia la dipendenza affettiva che materiale, entrambe hanno come obiettivo di depotenziare e minare l’autonomia e l’indipendenza del partner mettendone in luce le debolezze e gli errori.
Insomma, se vi riconosceste in uno di questi comportamenti cominciate a pensare di avere a che fare con un manipolatore e correte subito ai ripari. Ma, chi è la vittima del manipolatore?

Beh, esistono persone che facilmente ne diventano prede. Si tratta principalmente di coloro che percepiscono le cose con occhiali diversi a seconda delle occasioni, che falsano la realtà al punto da non accorgersi che si è finiti nella tela del ragno. Stiamo parlando di dipendenza affettiva.

La dipendenza affettiva è uno stato patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria, per la propria esistenza. È la conditio sine qua non aldilà della quale non è possibile sopravvivere. Diventa la linfa vitale di cui quotidianamente nutrirsi.
Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, oggetto d’amore, una importanza tale da annullare se stessi, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità. Tutto questo per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione!
I sintomi della dipendenza affettiva sono i seguenti:
  • terrore dell’abbandono e della separazione
  • evidente mancanza di interesse per sé e per la propria vita
  • paura di perdere la persona amata
  • devozione estrema
  • gelosia morbosa
  • isolamento
  • incapacità di tollerare la solitudine
  • stato di allarme e di panico davanti alla minima contrarietà
  • assenza totale di confini con il partner: la relazione è simbiosi e fusione
  • paura di essere se stessi
  • senso di colpa e rabbia
Le relazioni che instaurano queste persone non sono casuali, ma soddisfano il bisogno di avere a tutti i costi una relazione, quindi il luccicore delle false lusinghe mosse dall’altro funge da trappola che li induce ad intraprendere una nuova relazione. L’altro, persona forte e sicura di sé, tronfio del suo enorme ego, funziona da specchietto per le allodole.
La dipendente affettiva pensa al brillante futuro di protezione che potrebbe avere con questa persona, che a sua volta si ingaggia in una relazione affettiva con questa tipologia di soggetto solo perché ha bisogno di sottomettere qualcuno su cui esercitare la propria superiorità.
Sono dunque atteggiamenti e comportamenti che si incastrano perfettamente come la chiave alla serratura: ogni vittima esiste perchè esiste un carnefice e viceversa. Quindi, il manipolatore sceglierà una compagna sottomessa e insicura nella quale saprà trovare a poco a poco la zona vulnerabile che consentirà l’instaurarsi di un rapporto di dipendenza. L’area di vulnerabilità funge da gancio di traino, più lo aggancio bene più sottometto l’altro, che a sua volta soffre e per paura di sganciarsi si lascia tirare sempre di più, spesse volte fino al punto di ricevere danni fisici.
Il partner del dipendente avvilisce le debolezze di questa persona, sul piano del fisico, del carattere, della bellezza, dell’intelligenza, operando un costante confronto con un ipotetico altro sempre migliore. Alla lunga questo atteggiamento determina nel dipendente una maggiore insicurezza che porterà a reazioni di gelosia, di paura, “sicuramente sceglierà chi è meglio di me”.
Tutto questo porta nel dipendente alla formazione di un circolo vizioso che si autoalimenta, ovvero totale perdita di autostima e di autoefficacia, allerta continua, terrore della perdita, che si manifesta con un senso di ansia costante e un aumento nel controllo nella relazione. Le radici di questo disturbo sono ataviche e infantili ferite mai guarite, basate sull'apprendimento di un rifiuto precoce legato alla propria inadeguatezza, per questo si perpetuano nelle relazioni di coppia. Il dipendente ama l'altro idealizzato, lo stesso amore che ha provato nella propria infanzia per un genitore irragiungibile, che lo ha abbandonato, dal quale si è sentito tradito.

Per questo, la dipendenza si alimenta e si nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, del dolore: non si tratta di provare piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, di salvarlo, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso. Amare un partner realmente affettuoso e gentile porta ad annoiarsi, invece lo stare sulla corda, il rifiuto, la mancanza di certezza muove il desiderio. Naturalmente, si tratta di valutazioni errate che alimentano e mantengono il disturbo.
Questo comportamento è ulteriormente aggravato da una attribuzione di colpe che non si hanno: “io sbaglio e per questo lui si comporta in questo modo”, “se solo fossi meno gelosa tutto questo non succederebbe”, “se ha urlato e mi ha offeso così è perchè io l’ho fatto innervosire, ho tirato la corda”.
La soluzione? Difficile è il percorso e molto tortuoso, ma consiste nel vedere l’altro per quello che è, ovvero un manipolatore affettivo. Solo così è possibile uscire dalla trappola e liberarsi della dipendenza costruendo relazioni più sane.
Amare se stessi e a mettersi al centro della propria vita è la strada da intraprendere per passare dalla dipendenza all’indipendenza, ovvero concedersi la possibilità di farsi amare in modo sano e diventare sereni.
BIBLIOGRAFIA: